La zattera della Repubblica: Cronache di un altro 8 marzo

Per qualche motivo ho lasciato quest’articolo in bozza. Sicuramente perché non lo trovo molto chiaro. Eppure, quasi un anno dopo, il 4 marzo 2022, lo pubblico tale e quale. Chissà cosa ci aspetterà quest’8 marzo.

Foto mia.

L’8 marzo cos’è? Una giornata per cani? Una giornata per le donne? Pare che nel 2021 l’8 marzo sia entrambe le cose. Già per i cani perché l’8 marzo si commemora la morte di Hachiko, il leggendario cane giapponese morto nel 1935 e per questo è la giornata degli akita. Poi, ma forse questo è un dettaglio che è passato inosservato da tanti, è anche accessoriamente la giornata internazionale dei diritti (al maschile??) delle donne. 

Bene. A Firenze, uno ha deciso di onorare entrambe le cose. Si è messo un costume da cane, un crop top col buzzo di fuori (visto che siamo in toscana, si può dire – o forse c’è stata una scissione fiorentina nel frattempo, chissà?). Ha parlato per le donne. Sostiene il kink ovvero il sadismo sessuale mascherato da gioco sessuale accettabile. Bene. 

Quali possono essere le rivendicazioni di un personaggio che si traveste da cane, celebra la tortura, la dominazione e la schiavitù? Mah, sicuramente l’integrità delle donne e la liberazione dal sistema di dominio maschile che è il patriarcato.

“Viva l’anarkink, Fuoco al patriarcato”, Firenze. (Fonte foto: Non Una Di Meno)

A Parigi, domenica 7 marzo, noi femministe ci siamo ritrovate nella maggior piazza politica, la Place de la République, una larghissima piazza rettangolare con in mezzo una grandissima statua stile torta nuzialeMolti assembramenti quel giorno: su un palcoscenico pare che ci siano stati interventi di qualità di donne (ma io alle sorelle che mi hanno raccontato questo ho detto che dovevano in un’altra piazza di un’altra repubblica perché di quello non ho visto niente); da un lato della statua centrale c’era una protesta algerina, e da un altro (ed è qui la parte che interessa a noi), un gruppuscolo queer

Prima, una parentesi per capire esattamente di cosa parliamo. Anche se in tante e tanti credono che queer (che significa letteralmente strano in inglese) sia un sinonimo di gay e lesbiche, non è vero. Queer è innanzitutto un movimento accademico propulsato alla fama e gloria dalla statunitense Judith Butler. Questo filone si iscrive nella corrente postmoderna e stipola che non solo il genere, cioè l’insieme dei ruoli sessuati, è costruito socialmente ma pure il sesso — o più precisamente il discorso dà rilevanza al sesso.

La sovversione è parte integrante del pensiero (un pensiero per la parola “pensiero” così maltrattata, perdonami) e del movimento queer. Strettamente legata è l’idea che ogni normatività sessuale sia sbagliata (e qui la contraddizione è evidente)[i]. La prostituzione, la pornografia, il sadismo sessuale non sono pratiche problematiche. Anzi, è il discorso a renderle problematiche, proprio come è il discorso a rendere problematico l’incesto o il pedo-strupro. Il punto sull’incesto lo sostiene Judith Butler stessa[ii]. Gayle Rubin, altra figura centrale della queer theory aggiunge che la lotta dei pedostupratori è assimilabile a quella omosessuale in quanto entrambi lottano per il cambiamento delle mentalità nei confronti delle loro preferenze sessuali[iii]. E a Pat Califia di concludere che la preferenza per le bambine e i bambini non è tanto diversa dalla preferenza per i piatti piccanti. Come dice Derrick Jensen: “Non ho mai incontrato nessuno che abbia avuto bisogno di anni di terapia per una preferenza per l’harisssa”[iv]. Spero che a questo punto il nesso fra una pratica elitaria di trasgressione e mantenimento dello status quo, cioè la violenza sessuale maschile, sia chiaro[v], così posso chiudere la parentesi e tornare a domenica.

« La pornografia insegna lo stupro » (Immagine di CAPP)

Domenica, si sa, si va al mercato. Ebbene, doveva esserci una promozione sulle uova perché ce ne siamo ricevute un bel pacco. 

Presto nel pomeriggio sulla statua erano scalate le attiviste, fra cui delle sopravvissute della prostituzione, del Collettivo Abolizione Porno-Prostituzione (CAPP). Avevano decorato la Statua della Repubblica con slogan contro la prostituzione (“Prostituzione: dietro le volontarie, i prosseneti”, “Vogliamo vere soluzioni affinché le donne possano uscire dalla prostituzione”), inclusa la sua versione messa in scena, la pornografia (“La pornografia insegna lo stupro”), contro chi difende la prostituzione (“Se il tuo femminismo profitta ai prosseneti, non è femminismo”) e soprattutto contro gli uomini (“I clienti della prostituzione sono degli stupratori”). Sotto la Repubblica, un sole abbagliante e un cielo blu di blu, queste donne che hanno già sfidato il destino estirpandosi da una situazione che ha per traiettoria la morte appaiono trionfanti; queste donne creano un’opera d’arte. Altro che perfomance drag

Place de la République, Parigi, 7 marzo 2021 (foto mia)

Dalle 2.45 in poi, il piccolo gruppo queer sedicente antifascista vestito interamente di nero (si sa, fa risaltare la mascherina) non solo si è allargato ma si è pure piazzato di fronte alle femministe sulla statua. Si è verificato il primo tentativo per rimpiazzarle e il primo lancio di uova. Aprono una banderuola con scritto “collettivo femminista antifascista contro l’islamofobia”. 

La tensione ormai è già scalata ed è più che palpabile. Aumentano gli slogan da entrambe le parti. Loro: “Solidarietà con le puttane del mondo intero”; come se l’insulto potesse essere segno di rispetto. Noi: “abolizione, abolizione, abolizione”. 

Dopo ogni offensiva, c’è un ritiro dalla parte del gruppuscolo queer vestito di nero coi rangers (si sa, si sa, il tipico uniforme dell’antifascista). Sembrano insicure/i di sé. In un attimo fluttuante, una femminista dà un colpo da sotto ad un cartone di uova che una teneva in mano. In un altro ci becchiamo un volo di uova. 

Colpisce il video di un lancio di uova su Marguerite Stern, l’iniziatrice del movimento street art contro i femminicidi. Non tanto secondo me per il confronto diretto con lei ma perché la sovrabbondanza di uomini nel gruppo è evidente. 

Cosa ritenere? 

Un uomo travestito da cane col megafono. Sono più bravi di noi in tutto! Pure a essere femministi. (Fonte foto: Non Una di Meno Firenze)

Possiamo partire proprio da quest’ultimo punto. Chi vuole ancora vedere più uomini nelle proteste femministe non ha ancora ben chiaro chi sono gli opponenti politici delle donne. Come faccio a sapere io chi è l’uomo che cammina accanto a me? Come faccio a sapere se consuma ancora pornografia (sì), picchia la moglie (forse) o stupra a pagamento (possibile)? Perché noi donne non potremmo mai ritrovarci fra di noi, neanche per l’unico giorno nell’anno a noi dedicato?

Del gruppo di domenica ritengo poi il fatto che quando volevano, gli uomini si nascondevano dietro le donne e quando volevano passavano all’offensiva: comandavano loro. L’uomo vestito da cane di Non Una di Meno (Ma Uno In Più) ha pur sempre preso la parola in piazza ad una manifestazione femminista. Come possiamo noi non accorgerci che ci stanno prendendo il posto? 

Ed ecco qui il punto cruciale: gli uomini non sono donne. E non lo saranno mai. Mi dispiace, veramente, capisco il dolore di essere un uomo, anche a me farebbe pene, purtroppo è così: il sesso non si cambia. Non è perché mi tingo i cappelli in biondo che non sono più mora. Uno può chiamare Galileo Galilei Galileo Galivoi quanto vuole, può fare il giochetto dei pronomi che abbiamo già visto quanto vuole e può tiranneggiare quanto vuole per farci partecipare, chi ha sperma non finisce per mestruare e noi ci rifiuteremo sempre di giocare. 

Le discriminazioni subite dagli uomini che vogliono essere riconosciti come donne includono la violenza maschile, in particolare nell’ambito della prostituzione, e il non-riconoscimento altrui del sesso dichiarato. Contro il primo noi lottiamo già. Il secondo però (dire ad un uomo che è un uomo, che i tacchi e le parrucche non fanno una donna e che comunque fattori biologici siano criteri ben più adeguati per definire una donna che la parola di un uomo), non è discriminazione, è la realtà. 

A sinistra: “Ah mi sono scordato di mostrarvi il mio cartellone” “Butta un uovo su una TERF [Femminista Radicale Escluente i Trans]” — Trans che?? Transalpini? Sul cartellone in bianco: “proposito transfobico”.

A destra: “Uova sulle terf”.

Queste immagini hanno circolato su internet in seguito agli eventi di domenica. (Fonte foto). 

Il cartellone che teneva in mano Marguerite Stern con scritto “Viva il sesso femminile” l’ho fatto io e mi sono pure bruciate le mani dovendo scrivere al maschile la parola “sesso femminile”. E non mi scorderò dello sguardo sul mio cartellone di una ragazza e un ragazzo, diciottenni o ventenni, anche lì in look semi neo-punk goth. Lo schifo nel loro sguardo è impresso nella mia memoria. Lo stesso schifo di chi vedeva il mio cartellone l’anno scorso dove avevo raggirato un proverbio francese[vi]: “Il vestito non fa la donna ma il pene fa l’uomo”. Questo schifo è l’ick factor (“fattore yuk”) di cui parla Sheila Jeffreys provato da certi uomini per le parti genitali femminili[vii]. Questo schifo è quello dei drag queens che nel programma RuPaul Drag Race chiamano fish un uomo che trovano iper-femminile: pesce perché di pesce puzzerebbero le nostre vulve. Già perché il pene sa di rose fresche all’alba. È questo schifo che poi porta certi a illustrare il lancio di uova su Marguerite Stern con la scritta “proposito transfobico” al posto dell’originale sul cartellone. L’orgoglio femminile che ferisce l’orgoglio maschile. Non posso neanche celebrare il mio essere donna senza che tu uomo ti offenda. Questa è misoginia. Non distraeteci con le vostre storie di transfobia.

Parlando di fobie, cos’è questa storia di islamofobia che ci tiranno indietro da anni e che era ben presente alla manifestazione di Parigi? Essere islamofobiche significa essere contro il velamento? Spero sia il dibattito soggiacente perché per me va da sé che non c’è spazio per nessuna religione patriarcale in una manifestazione femminista. Ci stiamo a malapena liberando da una chiesa, cadiamo già in un’altra? E sul dibattito sul velamento, la nostra posizione, come sulla prostituzione dovrebbe essere ovvia. Se gli uomini non vengono prostituiti né velati, ci sarà un motivo, no? Mica scemi eh? Millenni di patriarcato qualcosina la sapranno meglio di noi — non lasciamoci distrarre dai buzzi.

Chi vorrebbe ridurre gli eventi dell’8 marzo ad una semplice querelle des femmes, un affaruccio senza conseguenze di donne non ha ancora capito la rilevanza delle politiche sessuali. “Noi non siamo codici [in riferimento a LGBT e genitore 1/2], siamo persone. […] Io sono Giorgia, sono una donna, sono cristiana.” urla ad una folla Giorgia Meloni[viii]Nicola Sturgeonfirst minister della Scozia ha voluto porre fine ai dibattiti interni nel suo partito sull’auto-dichiarazione sessuale spiegando che la transfobia è inaccettabile[ix]. Poche ore dopo l’ascesa al potere[x] —ore! meglio di Khomeini col velo — il presidente statunitense Joe Biden ha riadottato il concetto vacuo di discriminazione contro “l’identità di genere” — come se gli stereotipi sociali potessero essere alla base dell’esistenza[xi]

E chi aspetta ancora salvezza dalla sinistra maschile non ha letto Il Contratto Sessuale di Carole Pateman[xii]: noi non siamo state dimenticate o escluse dal contratto “sociale”, non siamo l’oggetto stesso del contratto. La sinistra maschile lotta ancora per la collettivizzazione delle donne, la destra maschile per la privatizzazione. Siamo ancora lì. La salvezza verrà da noi. 

Per ora siamo sole. Come le femministe sulla zattera della repubblica domenica 7 marzo. Per ora siamo sole. Ma questo non dipende da noi, ma da voi. 

20 marzo 2021

Salvare la vita, Mirella Bentivoglio, 1984

[i] Osservazione di Bec Wonders, https://filia.org.uk/latest-news/2020/4/9/feminism-allowed-you-to-speak-maintaining-intergenerational-feminist-solidarity-in-the-face-of-sophisticated-attacks

[ii] L’insieme dei punti sulle tre accademiche queer sono disponibili nella trascrizione dell’intervento di Derrick Jensen : https://borazansesli.com/2020/12/16/queer-theory-pedophilia-jeopardy-with-derrick-jensen/ . 

[iii] Chi fa il legame pedostrupro e omosessualità? Ma vi prego, continuate a chiamare le femministe lesbofobiche e omofobiche, ci mancherebbe. Siamo già islamofobiche e transfobiche, dobbiamo completare il quadro. Ah magari, qualche parolina per la paura viscerale degli uomini per causa della violenza che ci hanno fatto subire da millenni potete trovarla. 

[iv] https://borazansesli.com/2020/12/16/queer-theory-pedophilia-jeopardy-with-derrick-jensen/

[v] Jeffreys, Sheila (2003) Unpacking Queer Politics, Blackwell Publishers. 

[vi] L’originale è: l’abito non fa il monaco (“L’habit ne fait pas le moine”). 

[vii] Unpacking Queer Politics di Sheila Jeffreys 

[viii]https://video.corriere.it/politica/sono-giorgia-sono-madre-sono-cristiana-remix-discorso-meloni-hit-virale/b6c68924-ffa3-11e9-86c6-d2f1a0d8af2e&refresh_ce-cp

[ix] https://www.bbc.com/news/uk-scotland-scotland-politics-55839227

[x] https://www.womensliberationfront.org/news/president-biden-executive-orders-day-1

[xi] https://www.whitehouse.gov/briefing-room/presidential-actions/2021/01/20/executive-order-preventing-and-combating-discrimination-on-basis-of-gender-identity-or-sexual-orientation/

[xii] Grazie per il riferimento Ilaria! 

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